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10/05/2016 Un caso di diniego legittimo

Non tutti i dinieghi discutibili possono essere per cio' stesso ritenuti pretestuosi.

Meritano la debita attenzione anche i procedimenti in cui l’amministrazione interpellata nega l’accesso agli atti, fondandosi su esegesi giuridiche criticabili, ma in ogni caso radicate in orientamenti giurisprudenziali almeno in parte consolidati.

Una fattispecie tipica, in questo senso, e' quella dell’accesso ai verbali di informazioni redatti sul fondamento delle dichiarazioni dei lavoratori ai danni dei datori di lavoro, verbali redatti dagli ispettori del lavoro e sulla cui scorta vengono irrogate sanzioni agli stessi datori di lavoro.

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DIFENSORE CIVICO PROVINCIALE - TRENTO - RELAZIONE ANNO 2015

In questi casi appare necessario un bilanciamento di interessi, al fine da un lato di tutelare il lavoratore, parte debole, esposta alle ritorsioni del datore; nonche', dall’altro, al fine di non impedire pregiudizialmente al datore medesimo l’accesso ad atti che lo incolpano ed il cui occultamento depotenzia - quando non svilisce - il suo diritto alla difesa.

In questo campo si annoverano orientamenti diversificati.

Secondo una tesi massimalista, fortemente suffragata - ma al contempo pure sconfessata - dalla stessa giurisprudenza amministrativa, esigenze specifiche di tutela del lavoratore finiscono pressoche' sistematicamente per impedire l’accesso ai verbali contenenti dichiarazioni di lavoratori, sul cui fondamento siano state appunto irrogate sanzioni al datore di lavoro. Cio' sulla scorta di una norma regolamentare, che prevede questa peculiare forma di tutela del lavoratore: DM 4/11/1994 n. 757.

Una tesi intermedia ammette che la regola della non - trasparenza in parola e' derogabile; e segnatamente lo e' la' dove adeguate ragioni, nel contesto di un bilanciamento di valori e di interessi giuridici, giustifichino questa opzione.

Una tesi che si pone all’estremo opposto della prima, afferma poi che il citato decreto ministeriale, fonte secondaria del diritto ed oltretutto datato, e' illegittimo e va disapplicato, trovandosi lo stesso in aperto contrasto con la legislazione di riferimento (art. 24 L. 241/1990, in particolare come modificato dalla L. p. 15/2005) e con il diritto alla difesa costituzionalmente garantito anche – e scontatamente – al datore di lavoro (TAR Veneto, 2010/6178).

E' evidente che benche' la varieta' degli orientamenti giurisprudenziali di settore renda teoricamente sostenibili variegate soluzioni fra i due estremi surriferiti, in questi casi sta alla ragionevolezza della PA procedente adottare una decisione equilibrata.

Cosi', la' dove sia ragionevole ritenere che le esigenze di tutela del lavoratore non abbiano attuale ragion d’essere, in quanto quest’ultimo non lavora piu' per quel datore; la' dove, contestualmente, la sanzione a carico del datore di lavoro sia fondata in maniera espressa anche su verbali di sommarie informazioni - formalmente indicate dalla PA procedente come fonti di prova - rese dal lavoratore (rectius, dall’ex lavoratore); la' dove, infine, il datore chieda le fonti di prova a suo carico (i predetti verbali) al fine esplicito e palesemente fondato - in linea di principio – di difendersi, ebbene, in siffatte fattispecie si puo' certo pervenire - per le ragioni gia' illustrate - ad un diniego di accesso, ma e' chiaro che appare arduo condividere queste conclusioni, anche quando - come e' avvenuto - la giurisprudenza amministrativa confermi il diniego, accogliendo la tesi giurisprudenziale piu' rigidamente a favore dei soli lavoratori.

In analoghi contesti fattuali, in altri termini, sarebbe plausibile attendersi l’adesione all’orientamento giurisprudenziale mediano, a cui mente le obiettive esigenze di difesa del datore di lavoro - che non puo' essere sanzionato in base a “fonti di prova” parzialmente occulte - rendono impredicabile un diniego di accesso agli atti.

Tanto premesso, si soggiunge che in ogni caso questa tipologia estrema di controversia viene qui proposta non per il suo valore puntuale, ma piuttosto per quello paradigmatico - al di la' della sua maggiore o minore attualita' – perche' da un lato fornisce la cifra della complessita' delle ragioni che possono portare ad un diniego di accesso; dall’altro perche' esemplifica magistralmente un caso di diniego di accesso che tanto a giudizio del profano, quanto a giudizio del giurista (e di una parte della stessa giurisprudenza amministrativa), appare come meno ragionevole, sul piano giuridico, e piu' ingiusto su quello sostanziale.

La conclusione di queste considerazioni, dunque, e' che non sempre forme di opacita' dell’azione amministrativa, legittimamente criticabili, nella declinazione effettiva del sistema giuridico vigente sono realmente ritenute scorrette.

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