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10/02/2020 BIG DATA - La raccolta di dati
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Big Data, utilizzo dei dati personali e concorrenza - La raccolta di dati

Il processo di raccolta dei dati è discusso approfonditamente nel capitolo 1 dell’Indagine, dove sono stati rilevati i bias comportamentali e le asimmetrie informative che caratterizzano il rapporto utente-operatore nonché la relazione (complessa) tra concorrenza e privacy. In tale contesto, sia gli strumenti di intervento di tutela del consumatore che quelli antitrust possono contribuire alla tutela degli utenti in questa fase delicata del rapporto con le piattaforme digitali.

Il contributo della tutela del consumatore. È ampiamente trattata negli studi economici più recenti che analizzano i data-driven zero-price markets la questione della potenziale efficacia degli strumenti di tutela del consumatore nel contribuire a risolvere le inefficienze derivanti dal valore pari a zero del prezzo e dalla mancanza di consapevolezza da parte degli utenti delle vicende che attengono ai dati che essi forniscono alle piattaforme digitali. Di rilievo, sotto tale profilo, sono le condizioni di fruizione dei servizi offerti gratuitamente all’interno di una piattaforma e, in senso più ampio, rispetto ai fornitori di servizi analoghi.

L’AGCM è più volte intervenuta con azioni di enforcementdel Codice del Consumo nel sistema della “data driven economy”, e specificatamente nei confronti di WhatsApp e Facebook, per tutelare i consumatori, soprattutto quelli fruitori di servizi digitali “pagati” con i dati personali.

L’Autorità ha, in particolare, ritenuto che i modelli di business incentrati sulla raccolta e l’elaborazione dei dati, anche quando l’utente riceve il servizio senza dover pagare un corrispettivo in termini monetari, rientrassero nella nozione di attività economica ai sensi del diritto europeo. A tal fine, l’Autorità, dando concreta attuazione a principi ormai consolidati sia a livello europeo che internazionale, ha ampliato la nozione di rapporto di consumo, riconoscendo la natura economica del comportamento dell’utente anche in relazione alle piattaforme digitali che offrono servizi gratuitamente.

Ciò posto, l’Autorità ha ritenuto ingannevole la schermata di registrazione ad un social network (Facebook) nella quale mancava un’adeguata e immediata informazione circa le finalità commerciali della raccolta dei dati dell’utente e ha ritenuto aggressive le modalità con cui il social network procedeva all’acquisizione del consenso per lo scambio, per fini commerciali, di dati dei propri utenti con siti web o app di terzi.

In un altro caso, l’Autorità ha ritenuto aggressiva la condotta di un fornitore di un servizio di messaggistica (WhatsApp) consistente nell’aver di fatto forzato i propri utenti ad accettare nuovi Termini di Utilizzo –relativi alle condizioni dei propri dati ai fini di profilazione commerciale e pubblicitari –facendo loro credere che sarebbe stato altrimenti impossibile proseguire nell’utilizzo dell’applicazione medesima.

La tutela del consumatore, dunque, può intervenire su una molteplicità di profili connessi al rapporto tra operatori e utenti nella fase di acquisizione dei dati. L’effetto utile di tale intervento non è solo quello di fornire una tutela diretta ai consumatori, ma anche quello di svolgere un ruolo pro-concorrenziale nella misura in cui gli utenti sono posti nella condizione di esercitare (più) consapevolmente e attivamente le proprie scelte di consumo: quanto più i consumatori sono informati, consapevoli e liberi nelle loro scelte, tanto più le imprese sono incentivate a competere tra di loro differenziando le proprie offerte di servizi digitali gratuiti in relazione alla qualità nella forma di privacy.

A questo riguardo, tenuto conto delle grandi dimensioni di molti operatori attivi nell’economia digitale e impregiudicato quanto già previsto dal RGPD, al fine di garantire un efficace effetto deterrente delle norme a tutela del consumatore, sarebbe necessario prevedere quanto prima un aumento del massimo edittale per le sanzioni, anche in linea con quanto già stabilito dalla recente direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori.

Gli spazi per gli interventi di tutela della concorrenza. La diretta applicabilità degli strumenti consumeristici non significa che questi siano gli unici disponibili, dal momento che essi si pongono in un rapporto di complementarietà con l’apparato di tutela della concorrenza e di quello a protezione dei dati personali. Da questo punto di vista, l’Autorità, accentrando due delle tre competenze (tutela della concorrenza e del consumatore), ha una maggiore flessibilità nella scelta dell’intervento più adatto alla specifica situazione posta sotto osservazione.

Il legame tra Big Data, privacy e enforcement della disciplina a tutela della concorrenza può interessare tutti gli strumenti di intervento dell’autorità antitrust: intese, abusi e concentrazioni.

Ad esempio, è possibile rilevare, in linea generale, come accordi orizzontali tra imprese che riducono il livello di privacy offerto sul mercato possano essere considerati restrittivi della concorrenza, al pari di accordi idonei ad aumentare i prezzi. In una prospettiva più “tradizionale”, anche accordi tra imprese aventi ad oggetto la condivisione di dati personali dei propri utenti possono evidentemente presentare criticità laddove siano idonei ad agevolare un coordinamento delle politiche commerciali delle imprese stesse.

Con specifico riguardo allo scenario in cui il mercato è caratterizzato dalla presenza di un operatore in posizione dominante, si può porre la questione se l’acquisizione di “troppi” dati possa costituire un abuso di sfruttamento. Non si può escludere infatti, almeno in linea di principio, che talune modalità di acquisizione di dati personali possano integrare un abuso di posizione dominante di sfruttamento al pari della definizione di prezzi eccessivamente gravosi. Si tratta, peraltro, di una condotta che può potenzialmente anche presentare profili escludenti laddove l’utilizzo dei dati in questione sia funzionale all’adozione di condotte con un effetto di foreclosure in uno specifico mercato ovvero di estensione della dominanza in un mercato contiguo. Al contempo, occorre rilevare la complessità inerente la definizione di un benchmark di riferimento per valutare l’eccessività e iniquità dell’acquisizione di dati personali. Ciò anche a causa del fatto che, ancor più che nella fattispecie “tradizionale” di prezzi ingiustificatamente gravosi (già di per sé assai problematica e soggetta a standard probatori particolarmente stringenti), appare poco utile il riferimento a un livello “competitivo” di privacy, idoneo a guidare le valutazioni di eccessività e iniquità. Inoltre, come rilevato nel primo capitolo dell’Indagine, la valutazione della sussistenza di un danno al consumatore può essere apprezzata solo considerando nel suo complesso la filiera dei Big Data che comprende non solo la loro raccolta, ma anche il loro utilizzo concreto.

Se il livello “competitivo” di privacy, per quanto illustrato nella sezione 5.3., non appare agevolmente identificabile (e in ogni caso potrebbe risultare socialmente insoddisfacente) un benchmark alternativo potrebbe rintracciarsi in quanto stabilito dalla regolazione -più attenta alle modalità con le quali vengono raccolti i dati personali che alla loro quantità -ovvero nel grado di genericità relativo all’utilizzo di tali dati. Una genericità che può privare il singolo individuo della capacità di controllare la sorte delle informazioni che riguardano la sua persona e la sua dignità.

In entrambi i casi è ovvio che l’intreccio tra le competenze del Garante dei dati personali e dell’Autorità antitrust può rivelarsi inevitabile e particolarmente complesso. La cooperazione tra le due istituzioni, di cui questa Indagine è prova evidente, potrà contribuire, caso per caso, a selezionare la strumentazione più efficace.

Infine, la valenza economica dei dati personali può rilevare anche per la valutazione di merito svolta dalle autorità di concorrenza nell’ambito del controllo delle concentrazioni. In particolare –oltre alla rilevanza dei Big Datanella valutazione del potere di mercato delle imprese e delle barriere all’entrata –si pone la questione specifica dell’eventuale valutazione degli effetti di un’operazione di concentrazione sulla privacy, al pari dell’analisi su altri aspetti “tradizionali” quali i prezzi. Ciò appare particolarmente rilevante, ad esempio, nei casi in cui l’impresa acquisita adotta, a differenza dell’acquirente, un modello di business “a bassa intensità di dati” e vi è il rischio che l’operazione di concentrazione condizioni negativamente il livello di privacy disponibile nel mercato.

Ad esempio –sempre nell’ambito del quadro di regole definito dal RGPD –una riduzione qualitativa derivante da un accresciuto potere di mercato potrebbe concretizzarsi, tra l’altro, in un aumento del volume di dati richiesti, nell’utilizzo congiunto di più fonti di dati prima separate, nell’utilizzo di tali dati per un insieme più ampio di finalità ovvero nellariduzione del livello di controllo che gli utenti hanno sui propri dati.

Si tratta di aspetti che possono ben rientrare tra le valutazioni svolte da un’autorità di concorrenza, nella prospettiva di una interpretazione giustamente ariosa della nozione di benessere del consumatore che costituisce obiettivo fondamentale anche del controllo delle concentrazioni.

Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data

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