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10/02/2020 BIG DATA - La raccolta e l'utilizzo dei dati personali come variabile economica
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Big Data, utilizzo dei dati personali e concorrenza - La raccolta e l’utilizzo dei dati personali come variabile economica

Poiché non si osserva di norma un mercato nel quale si realizzano autonome relazioni di scambio tra domanda e offerta che abbiano nello specifico ad oggetto i dati personali, viene in rilievo la necessità di tenere comunque conto del loro ruolo nei mercati in cui gli utenti, nell’acquistare un servizio (primario), acconsentono all’utilizzo dei propri dati da parte delle imprese.

Nell’ottica di far emergere lo “scambio dei dati” che non si realizza in un contesto di mercato “autonomo” e di analizzare gli effetti che esso produce sul benessere sociale e del consumatore, nella teoria economica è possibile considerare la fornitura dei dati personali come una componente implicita del prezzo che l’utente paga all’impresa per l’acquisto del servizio primario o in alternativa una componente qualitativa del servizio.

La possibilità di inquadrare il grado di utilizzo di dati personali come una componente del prezzo o della qualità del servizio presuppone una consapevolezza del verificarsi di un trasferimento dei propri dati personali e del valore economico intrinseco agli stessi, consapevolezza che tuttavia non appare così scontata, come emerge dai risultati della survey condotta dall’Autorità (cfr. infra,§5.3.5.).

Raccolta e utilizzo dei dati personali come prezzo non monetario. Per quanto l’inquadramento di dati come corrispettivo dei servizi possa apparire in conflitto con la filosofia sottostante gli obiettivi di protezione della privacy, i dati personali acquisiti dal fornitore di un servizio sono spesso visti dalla letteratura economica e persino dalla più recente giurisprudenza come il prezzo che un utente paga per la fruizione di quest’ultimo.Tale analogia, da un lato, ha il pregio di evidenziare come i dati personali costituiscano di fatto il principale se non l’unico valore di scambio del servizio, laddove quest’ultimo viene erogato dall’impresa gratuitamente.

Dall’altro lato, assimilare la fornitura dei dati ad un prezzo appare riconoscere implicitamente che essa determina una disutilità per l’utente al pari di un esborso monetario e deve in ogni caso tenere conto della natura di diritto fondamentale del diritto alla protezione dei dati personali.

Si tratta, ad esempio, di un approccio che è stato sviluppato anche nell’ambito dell’enforcement delle norme a tutela dei consumatori. Infatti, nonostante gli operatori digitali spesso non esigono dall’utente alcun esborso monetario in cambio dei servizi offerti, è possibile configurare, in ogni caso, un rapporto di consumo laddove gli stessi utenti mettono a disposizione della piattaforma e, attraverso questa, di terzi una mole ingente di informazioni collegata al proprio account, inclusi i dati personali e quelli dei propri contatti in rubrica. Un siffatto patrimonio informativo, utilizzato, come noto, per la profilazione degli utenti a uso commerciale e per finalità di marketing, acquista, in ragione di tale uso, un valore economico che costituisce evidentemente la controprestazione del servizio fornito dalla piattaforma in assenza di corrispettivo monetario. La stessa Commissione europea riconosce che i dati personali, le preferenze dei consumatori e altri contenuti generati dagli utenti hanno un valore economico de factoe che una piattaforma che si qualifica come ‘professionista’ deve sempre rispettare le norme dell’UE in materia di diritto commerciale e dei consumatori nell’ambito delle proprie pratiche commerciali. La commercializzazione di tali prodotti come ‘gratuiti’ senza informare i consumatori del modo in cui saranno utilizzati i dati relativi alle loro preferenze, i dati personali e i contenuti generati dagli utenti in alcune circostanze può essere considerata, al di là di eventuali ulteriori profili di violazione della disciplina di protezione dei dati, una pratica ingannevole (cfr. provv.AGCM PS11112 -Facebook-Condivisione dati con terzi, 29 novembre 2018 n. 27432, su cui v. infra,§5.4.1).

Al contempo, come si è rilevato sopra, nei mercati digitali non è sempre univoca la relazione tra fornitura dei dati e benessere dei consumatori. Inoltre, mentre i consumatori hanno di norma piena consapevolezza del prezzo dei beni/servizi che consumano, il livello di privacy associato al consumo di determinati beni/servizi costituisce uno degli aspetti probabilmente meno immediatamente percepibili e “quantificabili” dal consumatore.

Protezione dei dati personali come qualità dei servizi. In una diversa prospettiva, la protezione dei dati personali può anche essere considerata come una dimensione qualitativa, tra le tante, di un servizio, cosicché, a parità di prezzo ed eventualmente di altre caratteristiche, i consumatori (correttamente informati) dovrebbero tendere a scegliere il servizio che garantisce la minore fornitura possibiledi datio, comunque, un più elevato potere di controllo sui propri dati.

Più in generale, è possibile individuare una varietà di dimensioni connesse al trattamento dei dati personali che possono rilevare, oltre che ai sensi della normativa contenuta nel RGPD, anche in base a una lettura della protezione dei dati come qualità di un servizio. Infatti, si può avere riguardo a: i) la tipologia e il volume di dati raccolti; ii) la finalità per la quale i dati sono raccolti; iii) la durata del trattamento; iv) l’eventuale condivisione dei dati con terze parti; v) la possibilità per gli utenti di accedere, modificare, cancellare ed esportare i propri dati personali; vi) il legame tra i dati raccolti e la possibilità o meno di utilizzare il servizio; vii) la trasparenza nella relazione con l’utente in merito alla raccolta e al trattamento di dati personali.

Assimilare il grado di privacy alla qualità mette meno in evidenza il ruolo che i dati personali hanno come “valore di scambio” tra consumatore e fornitore del servizio. Tuttavia, associare la privacy a una componente qualitativa del servizio può per altri versi evidenziare taluni aspetti delle modalità di valutazione che i consumatori fanno del grado di protezione dei loro dati da parte dell’impresa e del funzionamento dei mercati (cfr. infra).

Si tratta, infatti, di un’analogia che appare coerente con un’impostazione che vede il consumatore attribuire alla tutela dei dati personali a sé riferibili anche un valore economico: come per altre caratteristiche qualitative, un livello maggiore di privacy, a parità di altre condizioni, dovrebbe corrispondere ad una maggiore utilità per il consumatore.

Tuttavia, occorre considerare che in alcune situazioni e per alcuni servizi digitali il legame tra dati personali e qualità del servizio è più articolato, nella misura in cui la qualità del servizio nel suo complesso dipende dalle informazioni personali che l’impresa è in grado di acquisire sul singolo utente. Spesso, infatti, i servizi che comportano l’estrazione di dati personali riescono a garantire una qualità tanto migliore quanto più ampio è il set di dati che l’utente è disposto a trasmettere al fornitore (si pensi, ad esempio, ai servizi di ricerca e di matching, in cui la personalizzazione costituisce un elemento fondamentale della qualità).

Va in ogni caso ricordato che, attesa la natura di diritto fondamentale della protezione dei dati personali, gli ambiti di “negoziabilità” da parte dell’interessato devono trovare modalità di espressione nelle forme consentite dalla relativa disciplina, anzitutto rispettando i principi fondanti di protezione dei dati personali, compendiati all’art. 5 del RGPD, oltre che riscontrando la sussistenza di una delle condizioni di liceità del trattamento indicate al successivo art. 6.

Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data

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