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10/02/2020 BIG DATA - L' utilizzo dei Big Data per la personalizzazione dei prezzi
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Big Data, utilizzo dei dati personali e concorrenza - L’utilizzo dei Big Data per la personalizzazione dei prezzi

L’avvento dei Big Data consente sempre più alle imprese di raccogliere dati personali dei consumatori e di utilizzare gli algoritmi per attuare forme avanzate di discriminazione di prezzo.

I mercati in cui è possibile ipotizzare un maggiore sviluppo di strategie di personalizzazione dei prezzi sono quelli caratterizzati:

− da un elevato grado di potere di mercato;

− da una maggiore possibilità di identificare la disponibilità a pagare dei consumatori, particolarmente agevole per talune piattaforme e operatori online;

− dall’assenza della possibilità di arbitraggio tra i consumatori con una bassa ed elevata disponibilità a pagare; questo è riscontrabile in alcuni servizi, acquistabili online, che sono tipicamente non trasferibili -quali prenotazioni alberghiere, biglietti aerei, per concerti, per musei -e per contenuti digitali accessibili solo da un dispositivo o da un conto personale -quali film, e-book, abbonamenti a giornali, mentre è più difficile con riguardo a beni fisici durevoli, quali computere vestiti.

Prezzi personalizzati, efficienza e aspetti distributivi. In generale, prezzi personalizzati possono migliorare l’efficienza allocativa, statica e dinamica:

− dal punto di vista statico, i prezzi personalizzati hanno il potenziale di migliorare, attraverso un aumento delle quantità scambiate, il benessere sociale;

− i prezzi personalizzati possono migliorare l’efficienza dinamica, incrementando gli incentivi all’innovazione per via dei profitti addizionali che possono essere acquisiti dall’impresa.

Sotto una diversa prospettiva, l’applicazione di prezzi personalizzati può avere anche implicazioni di carattere distributivo, che possono interessare diverse (categorie di) soggetti. Infatti, se da un lato la discriminazione di prezzo può consentire un aumento dei profitti delle imprese a danno del benessere dei consumatori, dall’altro lato può anche avere un impatto eterogeneo su diversi gruppi di consumatori, aumentando il benessere di taluni e riducendo il benessere di altri.

In quest’ultimo scenario, anche in una prospettiva di enforcementfondata sulla tutela del benessere dei consumatori, diventano particolarmente complessi interventi sul tema dei prezzi personalizzati, dal momento che potrebbero comportare la necessità di confrontare la posizione di gruppi diversi di consumatori.

La tutela della concorrenza. La normativa europea a tutela della concorrenza vieta esplicitamentesolo le discriminazioni di prezzo nei confronti di imprese (in ragione delle loro implicazioni escludenti) e non anche dei consumatori finali. Non è, pertanto, del tutto chiaro fino a che punto le disposizioni relative a condotte discriminatorie si applichino anche ai rapporti business-to-consumer. In questo contesto, l’art. 102.c TFUE è stato, ad oggi, per lo più utilizzato con riguardo a questioni legate alla protezione del mercato interno concernenti discriminazioni basate sul paese di residenza dei clienti e mai a prezzi personalizzati. Alternativamente, ci si potrebbe chiedere se simili pratiche possano essere perseguite nell’ambito dell’art. 102.a TFUE, dovendo però chiarire quale sia il testche andrebbe applicato in siffatta ipotesi. In particolare, appare particolarmente complesso ipotizzare condotte di sfruttamento quando i prezzi personalizzati hanno un impatto negativo sul benessere di alcuni consumatori, quelli con la disponibilità a pagare maggiore, ma hanno un impatto positivo sul benessere di altri consumatori, quelli con la disponibilità a pagare minore.

La tutela del consumatore. La tutela del consumatore può avere già oggi un ruolo prominente nel trattare i rischi derivanti dai prezzi personalizzati nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette.

In primo luogo, potrebbe essere valutato se configura una pratica commerciale scorretta l’applicazione di prezzi personalizzati in maniera non trasparente, o senza fornire ai consumatori la possibilità di opt-out. Ciò di fatto obbligherebbe le imprese a fornire informazioni con riguardo alle proprie strategie di prezzo in modo tale da consentire ai consumatori di acquisire consapevolezza dell’esistenza di tali pratiche e adottare, ove necessario, specifiche azioni per eluderle. Le evidenze disponibili appaiono confermare che la reazione dei consumatori può differire laddove siano a conoscenza della raccolta dati e della personalizzazione così come quando hanno la possibilità di opt-out.

In secondo luogo, si potrebbero anche perseguire e sanzionare pratiche commerciali scorrette ancillari idonee a re-inforzare gli effetti negativi dei prezzi personalizzati, come pratiche ingannevoli o omissive che limitano ulteriormente la trasparenza e la scelta del consumatore.

Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data

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