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10/02/2020 BIG DATA - L'acquisizione di dati personali nel processo produttivo e benessere del consumatore
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Big Data, utilizzo dei dati personali e concorrenza - L’acquisizione di dati personali nel processo produttivo e benessere del consumatore

Lo sviluppo dei mercati digitali non solo ha ampliato la quantità di dati personali che possono essere impiegati nel processo produttivo, ma ha fatto emergere nuove fonti di raccolta e forme di utilizzo dei medesimi.

Lo sviluppo dell’information technology, ed in particolare delle cosiddette tecnologie Web 2.0 (blogs, social media, on line social networks) ha posto al centro dell’attenzione l’individuo, non tanto come mero consumatore, quanto piuttosto come “produttore/generatore” di dati personali successivamente utilizzatinei processi produttivi di molte imprese operanti in una varietà di mercati.

Sotto il profilo dell’acquisizione, l’avvento della nuova era digitale ha, in primo luogo, amplificato la materiale disponibilità di dati personali pubblicamente accessibili (attraverso le informazioni che gli utenti rilasciano anche volontariamente sui social network, come Facebook, Instagram e Linkedin) e di quelli acquistabili sul mercato (ad esempio presso i cosiddetti data broker, soggetti che aggregano informazioni sui consumatori rinvenibili da diverse fonti pubbliche). Inoltre, le imprese in molti settori possono più facilmente validare i dati che acquisiscono nell’ambito del rapporto contrattuale con i propri utenti, ad esempio incrociando un proprio databas e clienti già esistente con altri dataset, legittimamente trattati, acquistabili sul mercato (si pensi ad una banca che è in grado di verificare le informazioni sul rischio di credito dei propri clienti con dati ricavabili da altre fonti informative).

L’impatto più dirompente, da valutare anche alla stregua dei principi di pertinenza e non eccedenza nonché di minimizzazione nell’utilizzo dei dati (contenuti nel RGPD), appare però rinvenirsi nell’opportunità per i fornitori di molti servizi online di acquisire informazioni sui propri utenti anche ulteriori rispetto a quelle strettamente connesse all’oggetto del contratto, sulla base del consenso dell’interessato al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità. In particolare, gli sviluppatori di applicazioni su dispositivi mobili (ad esempio, smartphone) possono accedere, da un lato, ai dati che gli utenti immagazzinano su detti dispositivi, in genere sulla base del loro consenso, e dall’altro ad informazioni circa l’utilizzo di altre applicazioni installate che ne arricchiscono il profilo. Proprio per sfruttare tale opportunità di acquisizione dei dati, anche imprese operanti in mercati più tradizionali hanno iniziato a sviluppare applicazioni di interfaccia con i propri utenti. In altri termini, non solo sono cresciute le fonti di acquisizione, ma tale processo di raccolta dei dati tende a riguardare un numero sempre maggiore di operatori.

In concomitanza con lo sviluppo di nuove fonti di raccolta dei dati, sono sorte nuove opportunità di utilizzo degli stessi che ne hanno favorito il processo di estrazione del valore economico, con implicazioni potenzialmente diverse sul benessere dei consumatori e sul benessere sociale.

Prima dello sviluppo dei mercati digitali, l’acquisizione dei dati per le imprese era tendenzialmente volta a ridurre le asimmetrie informative riguardanti le caratteristiche dei propri clienti che, dando luogo a problemi di selezione avversa, potevano generare inefficienze (allocative) sul mercato. Tornando all’esempio della banca, una maggiore disponibilità di informazioni per valutare l’affidabilità del debitore consente di definire un tasso di interesse più basso, con l’effetto di aumentare la platea di clienti disponibili a pagare un prezzo per farsi finanziare i propri investimenti e di abbassare il rischio di credito verso questi ultimi. Pertanto, sotto questa prospettiva, fermo restando il rispetto dei principi di pertinenza/non eccedenza e minimizzazione, l’accesso ad un maggiore ammontare di dati personali può ridurre il rischio che risorse economiche e fattori produttivi (in questo caso di tipo finanziario) vengano impiegati in maniera inefficiente.

Accanto a questa modalità di impiego -che favorendo una migliore allocazione delle risorse non pone problemi in termini di benessere sociale e del consumatore -i mercati digitali hanno sviluppato nuove prospettive di utilizzo dei dati personali. In primo luogo, dal punto di vista tecnico (ed impregiudicata ogni valutazione giuridica sulla protezione dei dati), la possibilità di tracciare e raccogliere informazioni sull’utilizzo di dispositivi mobili o sull’attività di ricerca svolta via web dagli utenti consente alle piattaforme onlinedi inferirne le preferenze, le abitudini e i potenziali bisogni di consumo. Da queste informazioni è possibile ricavare una puntuale profilazione dell’utente, che può avere diverse finalità per le imprese, dal miglioramento dell’esperienza di fruizione del servizio all’offerta di nuovi servizi “contigui”, o ancora ad una personalizzazione della comunicazione pubblicitaria, alla possibilità di praticare prezzi differenziati che riflettono la disponibilità a pagare di ciascuno (ma che pure potrebbero sottendere pratiche abusive).

Un’altra fonte di estrazione di valore economico dai dati personali deriva dalla possibilità di un utilizzo secondario dei dati raccolti (da misurarsi anche con il principio di compatibilità con la finalità per la quale il consenso è stato prestato,ai sensidell’art. 5, par. 1, lett. b) del RGPD), che non solo può travalicare l’oggetto del contratto, non risultando dunque complementare al servizio (primario) offerto ai clienti, ma può comportare una perdita totale del controllo da parte dei clienti sulle informazioni rilasciate al proprio fornitore del servizio. Tale circostanza si verifica quando quest’ultimo utilizza i dati personali raccolti (servizio secondario), per svolgere un’attività che si pone sull’altro versante del mercato, da cui il fornitore del servizio principale acquisisce un’ulteriore fonte di profitto. Anche in questo contesto, non è pacifico valutare se il consumatore sia danneggiato o meno dal trasferimento di dati al secondo versante del mercato. Da un lato, infatti, il servizio primario è offerto “gratuitamente” dalle imprese, e dunque i profitti generati dalla vendita a terzi dei dati personali consentono di sussidiare l’erogazione del servizio principale. Dall’altro lato, i dati possono essere utilizzati per attività che incidono in vario modo sul benessere dei consumatori.

L’impatto che l’utilizzo dei dati ha sull’offerta di beni e servizi fa venire in rilievo diversi scenari in merito alla relazione tra Big Datae benessere dei consumatori:

i) L’utilizzo dei dati personali riduce il benessere dei singoli consumatori. Vi sono situazioni nelle quali l’utilizzo dei dati personali dell’utente può determinare una riduzione del benessere di quest’ultimo. Ad esempio, il tracciamento dell’attività di ricerca online dell’utente di prodotti o di servizi finalizzato ad un acquisto che poi non viene perfezionato può essere sfruttato per proporre al consumatore in un momento successivo lo stesso prodotto o servizio ad un prezzo maggiorato. In questo contesto, a fronte di un incremento del surplus delle imprese, si realizza un deterioramento delle condizioni economiche dei consumatori.

ii) L’utilizzo dei dati personali aumenta il benessere dei singoli consumatori. Vi sono diverse situazioni in cui l’utilizzo dei dati personali da parte delle imprese comporta un miglioramento del benessere dei consumatori in termini di qualità, varietà e condizioni economiche dei servizi disponibili.

a. Innovazione. In alcuni casi, la raccolta dei dati personali è necessaria per la fornitura di un certo servizio. Ad esempio, la raccolta e l’elaborazione dei dati sulla localizzazione degli utenti ha permesso lo sviluppo di servizi che forniscono in tempo reale informazioni sul traffico. Nella prospettiva del singolo consumatore sarebbe ottimale avere accesso alle informazioni in tempo reale sul traffico nelle città senza condividere i dati relativi alla propria localizzazione. Tuttavia, non sarebbe possibile realizzare il servizio in questione senza accesso ai dati relativi ai singoli utenti: la condivisione dei dati personali costituisce il presupposto stesso per lo sviluppo di un tale servizio.

b. Qualità e varietà dei beni e servizi disponibili. I dati acquisiti, inoltre, possono consentire la fornitura all’utente di un servizio di qualità migliore, come nel caso in cui le piattaforme digitali suggeriscono prodotti e servizi di interesse per il singolo consumatore, con un beneficio per quest’ultimo in termini di riduzione dei costi di ricerca e transazione nel mercato.

iii) L’utilizzo dei dati personali aumenta il benessere dei singoli consumatori, ma riduce il benessere sociale. Occorre osservare, infine, che vi possono essere situazioni particolari in cui l’utilizzo dei dati personali aumenta il benessere dei singoli consumatori, ma riduce il benessere sociale, a causa ad esempio dell’esistenza di esternalità negative. A titolo esemplificativo, la personalizzazione dei contenuti giornalistici proposti agli utenti dalle piattaforme di ricerca e social network può essere gradita dal singolo utente, che ha accesso a contenuti di interesse e in linea con le proprie preferenze, ma può risultare non desiderabile per la società nella misura in cui riduce il grado di pluralismo nel consumo dei contenuti giornalistici con un impatto sulla sfera politica e sociale. In queste situazioni, dunque, è rilevante distinguere l’obiettivo di policy della tutela del consumatore da obiettivi diversi quali la tutela del pluralismo nell’informazione.

In questa prospettiva si pongono i seri rischi, come hanno evidenziato casi recenti, di utilizzo improprio dei dati personali delle persone persofisticate attività di profilazione su larga scala e di invio massivo di comunicazioni o campagne personalizzate (il c.d. micro-targeting) volte a influenzare l’orientamento politico e/o la scelta di voto degli interessati, sulla base degli interessi personali, dei valori, delle abitudini e dello stile di vita dei singoli. La corretta applicazione delle norme sulla protezione dei dati, soprattutto on-line, è essenziale strumento di protezione, ad es. dei processi elettorali, da interferenze e turbative esterne e, in ultima analisi, garanzia di corretto funzionamento della democrazia.

Un aspetto diverso è se e in che misura, pur nell’ambito dell’esistente quadro regolamentare, l’assetto delle interazioni tra utenti ed imprese in tema di raccolta e utilizzo dei dati personali possa essere valutato anche alla luce del principio di equità. Ad esempio, fermi restando i principi di pertinenza e non eccedenza previsti dalla regolazione, il principio di equità potrebbe essere inteso come grado di condivisione del valore economico che si genera dall’utilizzo dei dati personali. Viene fatto osservare da taluni commentatori, infatti, come tale distribuzione sia verosimilmente “sbilanciata” a vantaggio delle imprese. In altri termini, anche laddove gli utenti ottengano un beneficio netto dall’interazione con il fornitore di un servizio –la cui erogazione presuppone il trasferimento di dati personali –ci si può chiedere se, in una prospettiva di equità, il consumatore debba anche appropriarsi di una parte dei profitti che il fornitore del servizio estrae grazie all’acquisizione dei dati, anche nella forma di un miglioramento dei servizi che riceve.

In questo contesto, peraltro, i Big Data tendono a modificare i termini dell’asimmetria informativa tra consumatore e impresa. Prima dell’era digitale, infatti, l’utilizzo dei dati personali tendeva a incidere sulle asimmetrie informative riducendole, mentre attualmente il loro impiego sembra piuttosto orientato a generarle spostandole a carico dei consumatori. Tale asimmetria informativa tende peraltro ad avere una dimensione intertemporale nella misura in cui il rilascio di dati può dare luogo nell’immediato ad un beneficio (ad esempio il miglioramento del servizio) ma in un secondo momento potrebbe avere possibili ricadute negative per il consumatore, che non è in grado di valutare nel momento in cui effettua la decisione di usufruire del servizio e ben potrebbe non essere consapevole delle conseguenze derivanti dalla perdita sul controllo dei propri dati (cfr. Infra§5.3.5.).

Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data

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