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10/02/2020 BIG DATA - L'interpretazione e l'utilizzo dei Big Data
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La filiera dei Big Data - L’interpretazione e l’utilizzo dei Big Data

La disponibilità di informazioni estratte mediante l’analisi dei Big Data ha reso possibile un cambio di paradigma anche nel processo decisionale delle imprese, anch’esso guidato dai dati (data driven decision making), nel senso che le decisioni possono essere prese direttamente sulla base dei dati, nonché delle correlazioni tra di essi, senza la necessità di una compiuta preliminare comprensione del fenomeno oggetto dell’intervento. In altri termini, in una prospettiva di utilizzo commerciale dei dati, dapprima interviene l’analisi dei fatti, quindi l’azione e infine, e solo eventualmente, la comprensione del fenomeno.

Ad esempio, un operatore della grande distribuzione può modificare il posizionamento a scaffale dei prodotti nei propri negozi semplicemente sulla base di correlazioni tra dati, senza bisogno di comprendere le ragioni per le quali il diverso posizionamento ha un impatto positivo sui ricavi di vendita.

Laddove invece l’utilizzo dei Big Data abbia delle finalità diverse da quelle commerciali, ad esempio nella ricerca medico-scientifica, alle possibilità offerte dalla profilazione non potrà che affiancarsi anche l’apporto del tradizionale metodo scientifico. Secondo questo nuovo approccio, la disponibilità dei dati assume una valenza di gran lunga superiore rispetto a quella dei modelli interpretativi, giacché, a partire da una grande e variegata mole di dati, gli algoritmi di intelligenza artificiale sono in grado di individuare complessi schemi di relazioni che possono sfuggire ai ricercatori (umani). Non solo, ma le decisioni in tal modo adottate possono poi essere monitorate ed analizzate con l’ausilio dei dati, dando così vita ad un processo iterativo ed esponenziale in cui i dati sulle esperienze passate forniscono sia feedback per il miglioramento di quelle successive,sia input per l’adozione di nuove decisioni in ambiti differenti. In tal modo gli algoritmi di machine learning possono arrivare a svolgere un gran numero di compiti che in passato richiedevano l’intervento dell’uomo, come ad esempio guidare un’automobile, sulla base dei dati raccolti da tutti i sensori del veicolo stesso, nonché delle correlate applicazioni di analisi dei percorsi stradali e del traffico.

Al di là degli esempi più eclatanti, quali il menzionato progetto di auto a guida autonoma, il descritto approccio decisionale trova applicazione in svariati settori economici, accrescendone la capacità di generare innovazione, sia di prodotto che di processo, innovazione che in ultima analisi risulta anch’essa guidata dai dati (data driven innovation).

In generale, nonostante le differenti forme di utilizzo e la rilevanza dei Big Data nei diversi settori economici, è possibile ricondurre le principali applicazioni economiche di tale risorsa ai seguenti aspetti.

In primo luogo, i Big Data possono contribuire all’efficientamento e al miglioramento dei processi direzionali, gestionali e operativi delle organizzazioni. Infatti, grazie alla raccolta e all’elaborazione di dati relativi ai processi interni e al loro monitoraggio è possibile individuare i punti di scarsa produttività e intervenire per migliorare quest’ultima.

In secondo luogo, i Big Data possono essere utilizzati per offrire prodotti e servizi innovativi, che non potrebbero essere altrimenti realizzati. Si pensi, ad esempio, ai servizi che offrono informazioni agli utenti in merito alle condizioni del traffico sulle arterie stradali, realizzati attraverso la raccolta e l’analisi dei dati di posizione e di spostamento di milioni di singoli utenti.

In terzo luogo,i Big Data possono consentire alle imprese di ottenere una conoscenza altamente dettagliata dei singoli consumatori, ossia dei loro bisogni e delle loro preferenze. Tale conoscenza può essere utilizzata dalle imprese per realizzare un’elevata personalizzazione dei prodotti e dei servizi offerti, aspetto di particolare rilevanza nella fornitura di servizi quali la pubblicità online e il commercio elettronico. La comunicazione pubblicitaria online si fonda, infatti, sulla capacità delle imprese di offrire agli inserzionisti pubblicitari la possibilità di raggiungere specifici individui, utilizzando nuove modalità negoziali e di allocazione degli spazi che consentono transazioni automatizzate e in tempo reale. Simile è l’utilizzo dei Big Data da parte delle piattaforme che distribuiscono contenuti digitali o di e-commerce, che possono proporre ai propri utenti beni e servizi in linea con le preferenze individuali. Ad esempio, attraverso l’acquisizione dei Big Data personali e relativi alle abitudini del consumatore, alcune piattaforme online implementano tecniche di search discrimination, ossia personalizzano la visualizzazione dei risultati di ricerca online.

L’offerta di servizi altamente personalizzati può avere implicazioni molto diverse in funzione dello specifico settore interessato. Nell’offerta di beni e servizi on line, la disponibilità di dati che consentono una profilazione dettagliata dei singoli consumatori, può rendere possibile una differenziazione per singolo utente dei prezzi di beni e servizi. Per altro verso, nel settore dell’editoria, i Big Data rendono possibile un elevato livello di personalizzazione del consumo di contenuti editoriali. Se, da un lato, ciò consente a ciascun utente di avere agevolmente accesso ai contenuti di maggior interesse, dall’altro lato, intensifica fenomeni di cd. confirmation bias, per cui gli individui tendono a restare nell’ambito delle convinzioni acquisite, ed echo chambers, ovvero di amplificazione dei messaggi, portando ad una polarizzazione delle posizioni, nonché a rischi per pluralismo informativo in ragione del fatto che un dato contenuto e/o prodotto editoriale non viene (tendenzialmente) proposto al di fuori del gruppo di utenti che, secondo il profilo di appartenenza, può a priori ritenersi interessato.

Sotto un diverso profilo, la capacità di acquisire informazioni in tempo reale sul proprio contesto competitivo può consentire alle imprese di modificare e adattare i propri prezzi (online) con grande velocità, utilizzando software appositi e ricorrendo a regole decisionali predefinite o ad o algoritmi, anche complessi, di self-learningche, come già anticipato, potrebbero “imparare” a prendere decisioni in relativa autonomia.

I Big Data, infine, trovano un ulteriore campo di applicazione nell’offerta di nuovi servizi pubblici contribuendo a migliorare la qualità della vita della collettività. Si pensi, per esempio, al traffico che può essere monitorato costantemente grazie alla condivisione dei dati relativi agli spostamenti registrati dagli smartphone, e gestito, nella misura in cui molteplici applicazioni di navigazione satellitare usano questi dati per suggerire ai propri consumatori il percorso più breve e meno congestionato. Ancora, secondo l’approccio Big Data possono essere monitorati i tempi di attesa presso gli sportelli pubblici. Analogamente, in ambito sanitario, grazie ai progressi nelle tecnologie di nuova generazione che hanno portato ad una disponibilità crescente di dati biomedici, sono state create banche dati ad accesso libero contenenti dati genomici e clinici di pazienti in forma anonima. Tali database contenenti un gran numero di dati eterogenei costituiscono un grande opportunità per gli scienziati, i quali, avvalendosi di tecniche di analisi dei Big Data, possono estrarre nuova conoscenza in maniera automatizzata su una determinata patologia.

Anche le istituzioni pubbliche possono migliorare la propria capacità di azione facendo leva sulla quantità e varietà di informazioni riguardanti le preferenze e le scelte degli agenti economici. Processati attraverso algoritmi di machine learning, tali dati, insieme a quelli tradizionali, possono essere impiegati per costruire indicatori dell’attività economica più accurati e tempestivi, ad esempio per stimare il tasso di disoccupazione o il tasso di inflazione, per migliorare le previsioni di variabili rilevanti a fini di policy, per misurare il clima di fiducia di consumatori e imprese.

La capacità di creare valore attraverso la raccolta e l’analisi di ingenti moli di dati non è un aspetto limitato all’attività delle piattaforme online, ma costituisce una potenziale fonte di vantaggio competitivo anche in settori tradizionali, in particolare in quelli caratterizzati da rilevanti asimmetrie informative, nei quali importanti guadagni di efficienza possono derivare dall’elaborazione dei Big Data, spesso acquisiti anche attraverso un’attività offline.

Prospettiva nell’applicazione dei Big Data nei settori finanziario e assicurativo.

Gli approfondimenti svolti nell’ambito dell’Indagine hanno fornito diversi spunti di riflessione in ordine al possibile utilizzo di tecnologie Big Data nei settori bancario-creditizio e assicurativo.

Gli operatori del settore bancario-creditizio hanno rappresentato come l’approccio alle tecnologie Big Data debba essere necessariamente “prudenziale” in quanto, allo stato, non è ancora sufficientemente chiaro se, a fronte di ingenti investimenti, vi possa essere un effettivo e concreto ritorno economico. Ciò in quanto, da un lato, è estremamente difficile definirne le reali potenzialità e, quindi, le concrete applicazioni operative, considerato che i Big Data sono, prima facie, dati di qualità mediocre (almeno rispetto ai dati, per così dire “raffinati” di cui dispongono gli istituti di credito o i gestori dei sistemi di informazioni creditizie), la cui effettiva “lettura” e analisi richiedono professionalità specifiche (peraltro ancora difficilmente reperibili sul mercato); dall’altro, e questo rappresenta un ostacolo ben maggiore, nel nostro Paese, i settori in questione operano in un quadro normativo-regolamentare rigoroso e puntuale che non consente alle imprese interessate di effettuare sperimentazioni circa l’efficacia, l’efficienza e l’attendibilità di tali tecnologie innovative. In questo senso si sono espresse le più importanti società sottolineando come in Italia, differentemente da quanto accade in altri contesti europei, non sia possibile utilizzare i cosiddetti “dati alternativi”, né i cosiddetti “dati social” ai fini della valutazione del merito creditizio; peraltro, gli stessi dati dei soggetti censiti nei sistemi di informazioni creditizie devono essere trattati nel rispetto delle regole contenute nel Codice di condotta recentemente approvato dal Garante per la protezione dei dati personali su proposta delle associazioni di categoria, il cui contenuto tiene conto, almeno in parte, delle nuove sfide poste dalla digital economy. Non c’è dubbio, infatti,che negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi prodotti e servizi in ambito fintech, quali ad esempio servizi di consulenza robo-advisor o servizi di pagamento digitale, la cui diffusione si incrementerà alla luce della c.d. PSD2. Tali nuovi “bacini di informazioni” potranno alimentare nuove elaborazioni basate su tecnologie Big Data.

Nel settore assicurativo, gli operatori, nel manifestare innanzitutto un certo disagio per il fatto di ritenersi esposti, a breve, alla pressione competitiva di “giganti delweb” come Amazon (che sta pianificando, appunto, il suo ingresso nei mercati assicurativi), hanno rappresentato come la diffusione delle tecnologie basate sui Big Data lasci intravedere importanti prospettive sia nello sviluppo di forme più competitive di erogazione dei servizi assicurativi sia ai fini dell’ottimizzazione ed efficientamento dei processi interni e della gestione delle polizze.

L’elaborazione dei Big Data consentirà infatti alle compagnie assicurative di formulare offerte incentrate sulle caratteristiche sempre più personali della clientela, con importanti effetti sulla prevenzione e la riduzione dei rischi, nonché sul miglioramento della gestione e della ricostruzione dei sinistri e nel contrasto alle frodi. Fino ad oggi, tuttavia, l’uso delle nuove tecnologie si è concretizzato principalmente nella diffusione di polizze online, anche attraverso il ricorso a siti comparatori, nonché nell’offerta di sconti sulle polizze RC auto vincolati all’installazione delle c.d. “scatole nere”. Al riguardo si segnala che,da diversi anni,la materia delle “black box” è oggetto di attenzione da parte del legislatore nel tentativo di delineare un quadro normativo-regolamentare che, tuttavia, non ha ancora trovato una compiuta definizione; lo stesso Garante, in occasione dei pareri formulati ai sensi dell’art. 154, comma 4, del d.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), ha rilevato forti criticità sotto il profilo della protezione dei dati personali.

Nel corso dell’Indagine è inoltre emerso che,nei prossimi anni, una grande quantità di informazioni sarà detenuta, più che dalle imprese assicurative, dalle imprese produttrici di automobili; si stima infatti che, grazie allo sviluppo della internet of things, entro i prossimi 5 anni oltre il 70% delle automobili saranno connesse, con conseguente produzione e raccolta di un’ampissima quantità di informazioni sugli autoveicoli e sui relativi proprietari e/o guidatori da parte delle imprese produttrici che diventeranno dei gateke e per nei loro settori specializzati; è evidente che tali dati potrebbero essere molto importanti per le società che forniscono prodotti assicurativi, tant’è che le compagnie assicurative si stanno impegnando a livello europeo in una consistente attività di lobbying finalizzata ad avere accesso al mercato dei dati prodotti dall’industria automobilistica. Al riguardo,sono state evidenziate diverse problematicità, tra cui i profili relativi alla proprietà dei dati raccolti e la possibilità per il singolo automobilista di manifestare concretamente la propria volontà al riguardo.

Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data

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